Il modo di vedere il cosmo della tradizione Indiana prevede una visione olistica e di complessiva unicità del tutto che ha al suo interno un equilibrio di forze opposte o complementari e sinergiche. La coppia Purusha Prakriti ad esempio o Shiva e Shakti rappresentano il rapporto tra vitalità e materia , o tra sottile e grossolano, tra attivo e ricettivo e in ultima istanza anche tra destra e sinistra.

La destra è Dakṣiṇā ( दक्षिणा)  che significa anche  dritto, onesto, imparziale, conforme e sottomesso ed è anche il punto cardinale Sud, la sinistra è Vāma (वाम) significa storto, contrario, opposto ma anche amabile, bello ed affascinante e corrisponde al punto cardinale Nord.

Questa corrispondenza coi punti cardinali si basa sul fatto che il nostro sguardo dovrebbe essere rivolto a Est (पूर्वा , Purva) in quando punto da cui sorge il sole mentre la nostra schiena si rivolge ad Ovest ( पश्चिम, Paścima) di conseguenza la destra sarà rivolta a sud e la sinistra a nord.

Le innumerevoli qualità e differenze tra destra e sinistra si possono ritrovare nell’arte figurativa tradizionale Indiana e la ritualità ne è talmente permeata da riversare i suoi effetti anche nella quotidianità anche al giorno d’oggi, anche nei gesti  più semplici.

L’intero processo cosmico è descritto in forma dinamica e ciclica, laddove ad una fase ascendente corrisponde una successiva fase discendente, l’evoluzione porta ad un picco e quindi la dissoluzione porta ad un punto di nuovo inizio. Questa descrizione è estrapolata dall’ Atharvaveda (15.18.1-5):

“L’occhio destro è il sole splendente, l’occhio sinistro è la luna che dona beatitudine. L’orecchio destro è  Agni (il fuoco) che pervade ogni cosa, mentre il sinistro è Vayu, il vento; le due narici sono giorno e notte e i due emisferi del cranio sono Diti a destra, ciò che è generato ed impermanente,  e Aditi a sinistra, la materia cosmica fondamentale permanente. Nella mitologia vedica il padre divino, Prajapati ebbe due gruppi di figli, gli Aditya e i Ditia dalle due mogli Aditi e Diti. Loro si accinsero a mescolare l’oceano per creare tutto ciò che ha forma e nome per trasformare il cosmo in un contenitore di miriadi di esperienze possibili. Tuttavia non trattarono per determinare cosa sarebbe uscito dall’oceano, così con le gioie emersero i dolori, col nettare emerse il veleno e così loro si rivolsero al supremo asceta, Shiva. Lui essendo indifferente al piacere e al dolore, superiore al concetto di positivo e negativo, privo di bisogni non era soggetto agli effetti del dualismo indispensabile per la creazione di ogni cosa.

Sempre Shiva compare in un altro mito che riguarda le posizioni dei punti cardinali, cioè nel mito di Dakshina Kali, la forma di Shakti (la parte femminile di Shiva) che emerge per distruggere, che proviene dal sud (Dakshina appunto) e che incarna il potere distruttivo della natura. Nel mito Kali fu creata per distruggere i demoni, mangiandoli e bevendone il sangue, ma quando il suo compito fu portato a termine non si fermò e continuò ad uccidere tutto ciò che incontrava sul suo percorso. Gli dei erano terrorizzati da questa ondata di distruzione e allo stesso tempo incapaci di fermare Kali, insieme a Brahma e Vishnu chiesero l’aiuto di Shiva (in alcuni templi del nord dell’India la statua di Shiva è rivolta verso sud proprio per questo motivo, fronteggia l’arrivo di Kali da sud). Egli acconsentì a fermare Kali e le si parò davanti lanciandole una sfida di danza. Se lei lo avesse battuto avrebbe potuto decapitarlo e berne il prezioso sangue, lei raccolse la sfida. Shiva iniziò a danzare e Kali, incanalando tutta l’energia della natura imitò ogni suo movimento fino a quando Shiva, dopo un tempo incommensurabile, alzò la gamba sinistra col ginocchio oltre la spalla e il piede oltre la testa, lei si accinse ad imitarlo quando fu frenata dalla sua istintiva femminilità, non avrebbe potuto eseguire quel movimento senza esporre le sue parti intime al mondo intero, così timidamente si fermò e accettò la sconfitta. Da allora Shiva assunse l’appellativo di Nataraja, signore della danza e la posizione che rappresenta quel movimento si chiama appunto urdhva natarajasana, la posizione capace di domare la dea selvaggia.

Anche il movimento del tempo è rappresentato in modo preciso, cioè in senso orario appunto, il movimento considerato naturale nella direzione “giusta” mentre il movimento antiorario è ritenuto un movimento contrario e innaturale.

L’essere umano è composto di un corpo grossolano e uno sottile, quest’ultimo è composto di Nādī dal Sanscrito Nāda che significa vibrazione, cioè di canali vibranti di energia vitale di diverse frequenze e qualità. Delle tante nādī le tre principali sono iḍā, piṅgala, e suṣumṇā. Iḍā è il canale di sinistra, lunare che rinfresca e rilassa, che riceve e unisce olisticamente mentre piṅgala è la nādī di destra, quella solare che riscalda e attiva, che esprime e divide razionalmente.

Nella vita quotidiana degli Hindu si fa molta attenzione all’uso delle mani nei gesti quotidiani perché la mano destra è considerata quella sacra mentre quella sinistra é considerata profana. Ad esempio scrivere, mangiare offrire e ricevere sono azioni che vengono compiute con la mano destra. In tutti i rituali dalla nascita alla morte è descritto in ogni momento, quale arto vada usato per quello specifico gesto. Lo Yajnopavita, il cordino rituale sacro che viene indossato per tutta la vita a partire dalla cerimonia di iniziazione Upanayana Sanskara  (cerimonia della corda) si tiene sempre appoggiata sulla spalla sinistra, e solo nei rituali funebri viene invertita la sua posizione. Anche i piedi seguono la stessa differenza di lateralità come ad esempio nella cerimonia di matrimonio nella quale si eseguono sette giri intorno al fuoco partendo sempre col piede destro.

Il fine filosofico delle ricerche spirituali della tradizione indiana conduce ad un assunto comune:

“Nel dualismo c’è unità, nell’unità ci sono due elementi, ogni punto di vista ha il suo opposto, l’armonia è nel raggiungimento dell’equilibrio tra questi opposti, uno stato di stabilità dinamica”.

Lo scopo della scienza è comprendere e descrivere ciò che è manifesto e che può essere osservato e studiato, c’è un’altra metà del cosmo che è sconosciuta, inosservabile e invisibile. Gli antichi Rishi meditano su questo punto nei Veda:

“Brahma ha creato questa metà di se stesso come del cosmo, dov’è la traccia dell’altra sua metà?”