Nella prima serie c’è un solo asana dedicato ad un saggio, ed è il saggio Marichy.
Un personaggio tanto sconosciuto quanto importante, il suo nome significa raggio di luce, è emanazione diretta di Brahman, è uno dei prajapathi o creatori dell’universo, è manas, la mente con cui brahman può formulare un pensiero concreto, padre di Kasyapa, nonno di Surya, e maestro spirituale di Kapila, che fu il fondatore della filosofia Samkhya, da cui lo yoga fatta eccezione per la visione dualistica della realtà e la prospettiva immateriale, prende tutto l’impianto culturale e lo studio della natura umana. Tutti questi grandi onori e titoli in realtà però sono solo in minima parte il motivo per cui ritroviamo due volte Marichy nello studio degli asana dell’ashtanga yoga, con ben otto asana dedicatigli nella prima serie e in quelle avanzate(ad oggi la quarta serie). Le leggende e i miti che arrivano dalle tradizioni a cui ha attinto Krishnamacharya e il suo mentore, quelle che riconducono fino al saggio Vamana, dipingono Marichy con aneddoti non certo onorevoli, in uno pietrifica la moglie che si distrasse dal compito di lavargli i piedi per poi dover sopportare il peso della maledizione data per sempre, in un altro, venne sedotto da una prostituta che lo sviò dal suo percorso spirituale e da questa caduta lui apprese i tre valori dharma, artha , kama, mentre in un altra apparizione è addirittura costretto col ricatto a ingannare Rama e Sita sotto forma di cervo splendente facendo cadere Sita nella trappola del demone Ravana. Qual è quindi il senso di tutti questi fallimenti se non proprio imparare a inchinarsi alla vita e alla sua perfezione fatta di somme di eventi di per sè imperfetti, piegarsi e accettare l’imperfezione per crescere e vedere oltre alla forma, oltre all’allineamento delle ossa negli asana oltre alla performance e alla luce dell’estetica che ha il suo naturale e giusto compito di ispirare un movimento ma poi rischia di diventare un pantano dal quale non ci muoviamo più se diventiamo maniaci della perfezione tecnica. Il saggio che sorveglia la pratica dei nostri primi e forse più importanti passi, mesi e anni di pratica è Marichi per questo motivo, per custodire quel bene di impareggiabile valore che è l’umiltà e per regalarci, a tempo debito, la libertà dalle catene della mente che si ferma al perfezionamento della forma.
Bharadvaja e Matsyendra 2 a serie:
Il loro ruolo è simile a quello di un condotto che convoglia l’energia sprigionata dagli inarcamenti verso una direzione funzionale all’innalzamento della mente verso i centri alti. La torsione lombare e dorsale sembra proprio voler “strizzare” l’energia dal basso verso l’alto come si fa con uno straccio bagnato e la posizione del mento che richiama naturalmente il Jalandhara Bandha assolve alla funzione di filtro per evitare che l’energia divampi in eccesso nel cranio provocando il mal di testa. BHaradvaja e Matsyendra rappresentano con la loro storia ed esempio la disciplina, lo studio del se e l’ascolto, la capacità di “arrendersi” al guru o, come forse sarebbe più appropriato dire, arrendere le proprie resistenze al cambiamento.

Bakasana compie il servizio di Shiva alla fine della sequenza di inarcamenti nella seconda serie. Baka = Yama (colui che ha il compito di prelevare l’anima alla fine della vita e mostrarle il suo Karma) , in ogni sequenza troviamo Brahma, l’inizio, la scintilla che dà il primo spunto al movimento che sprigiona quella particolare energia, Vishnu che la espande e Shiva che la compensa riportando equilibrio.

Curiosamente Bharadvaja compare anche alla fine della seconda serie, cosa che non può non farmi pensare all’idea delle sue numerose reincarnazioni che lo hanno portato faticosamente all’illuminazione, passando da uno studio ostinato ed egoista alla comprensione della gioia della condivisione che da profondità allo studio stesso, questo succede dopo suptaekapada vajirasana, movimento che a mio parere richiama molto l’idea di abbandono del corpo e reincarnazione, e che rappresenta l’arma di Indra, costruita con la colonna vertebrale di un saggio di nome Dadhichi, che ha sacrificato la propria vita per il bene superiore per poter donare la sua colonna vertebrale affinché venisse fabbricata un’arma in grado di sconfiggere il semidio Vritra contro cui Indra doveva combattere. Sembra proprio che prima di chiudere con le sette varianti di sirsasana la seconda serie ci inviti alla condivisione, all’insegnamento, all’uscita da sé per incontrare gli altri e in questo trovare la migliore prospettiva del proprio cammino yogico.

Nella terza serie troviamo molti saggi: il cammino di apre con Vasistha e Vismamitra,
Avversari in vita , così simili e così differenti tra loro, Vasistha pacifico precettore di Ram gli insegna a riconoscere nell’indifferenza verso i piaceri mondani e nel “disgusto” per i valori terreni la breccia nel soffitto da cui filtra la luce della verità dell’anima, Visvamitra, sempre a Ram, insegna a lodare il Sole con Suryanamaskara come preparazione alla battaglia, lui che per tutta la sua vita, dopo essere stato annichilito da Vasistha a cui voleva sottrarre la vacca magica, combatté una battaglia interiore per liberarsi da ogni possedimento e attaccamento, dapprima Re ricco e potente, poi ambizioso praticante spirituale, inciampò e si rialzò diverse volte, spesso spinto avanti e indietro dalla sua rabbia, per poi conquistare la tanto ambita meta della liberazione e illuminazione. Due modi diversi di arrivare al Jivanmukti, alla liberazione in vita, due modi differenti di conquistare l’equilibrio necessario per essere in questo mondo senza essere di questo mondo.
Da Kasyapa verso Durvasa (o Durva? Questo è un bel dilemma) il praticante percorre un viaggio nella gravità terrestre, passando dall’usare il peso per aprirsi verso il cielo (kasyapa figlio di Marichy e padre di surya, il sole verso il quale rivolge lo sguardo), per schiacciare quello che deve essere disintegrato perchè possa ritornare materia grezza e rinascere (Bhairava) o anche distruggere ogni attaccamento a distrazioni e pensieri come fa Shiva nella sua forma di Bhairava, il terribile, l’inflessibile. Il Bahirava tantra è ricolmo di suggerimenti e pratiche che Shiva insegna agli uomini per prendere controllo della propria mente e smettere di esserne schiavo, lui che ha il potere di soggiogarla e vestire il serpente come ornamento mantenendo inalterato l’equilibrio, così come nell’asana a lui dedicato abbiamo la gamba come ornamento e il perfetto allineamento di cielo e terra attraverso le braccia con lo sguardo fisso su Ajna chakra.
In skandasana il peso delle responsabilità attribuiteci dal padre Shiva ci fa piegare al nostro dovere (inoltre Marichi nel quinto libro del mahabarat dice “sono la luna tra i pianeti, la mente tra i sensi e l’intelletto tra le facoltà e sono Skanda tra i comandanti,) mentre in durvasana ci alziamo sotto questo peso per guardare avanti e innalzare il nostro spirito coraggiosamente. (Il sollevamento del tronco sul bacino è l’atto che in natura determina la differenza tra un animale dominante e uno subalterno, molto evidente nei lupi, questo istinto e questa funzione nella correlazione psiche cervello corpo è tuttora presente in noi). A tale proposito non voglio dare una sentenza o un parere ma è possibile che l’asana sia dedicato a Durvasa (figlio della rabbia di Shiva, lett.”colui con cui è difficile convivere” responsabile della maledizione ad Indra da cui è dipesa la necessità di mescolare l’oceano di latte per estrarre amrita e ridare una posizione di dominanza ai deva sugli asura) o a Durva (una semplicissima erba che compare in una leggenda di Ganesha come unico rimedio all’immenso calore corporeo che lo stava bruciando, una volta posizionata sulla testa, unico rimedio nonostante l’intervento di tanti dei e saggi, in grado di curare quel bruciore di stomato) a voi le conclusioni.

La svequenza dedicata alle posizioni in equilibrio sulle braccia è curiosamente intervallata dalla presenza di Baka in varie forme. Ricordiamoci che Baka altro non è che Yama travestito, ci presenta il conto del nostro karma, il cammino degli arm balances qui è costellato di “saggi” a cui Yama fa da contrappunto, dopo aver conquistato una forza e un controllo notevoli con tre varianti di urdhva kukkutasana, posizione del gallo, sul cui temperamento non è necessario spendere parole, troviamo Galava, il saggio istruito da Visvamitra, il quale per voler a tutti i costi compiere l’atto eroico di ripagare il suo maestro, il quale invece voleva che andasse per la sua strada e rivolgesse umilmente il suo sguardo avanti finisce per vendersi e si ritrova alla catena come schiavo, quasi ad accendere un allarme verso i primi veleni che compaiono insieme all’abilità di reggersi con forza e controllo sulle braccia.

Baka si presenta qui ad azzerare il conto ma su una gamba sola, preparandoci all’incontro col saggio del giusto mezzo Koundiny, il quale ebbe il compito non indifferente di istruire Siddharta Gautama per poi riconoscere in lui quell’equanimintà che fanno del Buddha il portatore di una nuova verità sul dharma. In questo caso le gambe si stendono in direzioni diverse, così anche la testa e i tre pesi si bilanciano, non più in modo conservativo, rimanendo vicini al centro del corpo, rinunciando alla loro estensione ma anzi conoscendo in ogni parte la vita, toccandola e assaporandola, senza rimanerne però appesantiti e intrappolati.

Poi compare Ashtavakra il saggio che rappresenta il difficile dilemma di apparenza ed essenza, siano queste due cose correlate o svincolate è bene che sia oggetto di meditazione, sta di fatto che si impone al proprio corpo di “deformarsi” temporaneamente e posizionarsi come uno storpio contorto su se stesso e rivolto verso terra, così come descritto Ashtavakra al suo arrivo alla corte di re Janaka di cui poi diventa precettore dopo aver messo in evidenza la superficialità dei cortigiani del re.
Subito dopo abbiamo il ritorno di Matsyendra che prepara la strada a Viranchy di cui però non approfondisco in questa sede essendo un appellativo di Brahma e quindi non un saggio.
Anche Trivikram è in realtà una incarnazione di Vishnu ma si presenta nella leggenda che lo riguarda nella forma di un saggio, il nano Vamana (lett.”nano”) il quale si reca dal re Asura MahaBali e chiede tre passi di terra, il re, contro il parere dei suoi consiglieri, acconsente e Vamana si manifests come Trivikram Vishnu, col primo passo arriva al confine del mondo, col secondo al confine dell’universo, e non essendoci più spazio per un terzo passo, il re Mahabali offre la sua testa a questo scopo, e Vishnu lo benedice appoggiando delicatamente il suo piede sulla testa invece di schiacciarla e gli dona così l’immortalità.
Sembra quindi che con questi movimenti di grande chiusura ed espansione (viranchy, trivikram) oltre a preparare il corpo per la conclusione con nataraja e rajakapotasana si richieda al praticante di diventare esperto dello spazio e della sua occupazione, riducendo al minimo il proprio ingombro ed espandendosi al massimo.
Questo se ci riflettiamo sopra è un invito importantissimo a prendere le redini del proprio ego, asservendolo agli scopi del Sé, imparando a capire quando lo spazio intorno a noi ci chiede di espanderci e allargarci per coprire, supportare, nutrire l’ambiente e i suoi abitanti e quando è il caso invece di farsi piccoli e occupare il minor spazio possibile.
Compare in questa ultima fase della serie il rapporto tra Vishnu e Brahma di cui non si parla spesso, e del motivo per cui il primo viene adorato sulla terra mentre il secondo no, ma anche questo punto lo approfondiremo in un’altra occasione.