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L’ashtanga vinyasa è un metodo di pratica dello yoga che ha una codifica di origini non del tutto chiare, la cui paternità viene spesso attribuita al grande Maestro Sri K.Pattabhi Jois, anche se erroneamente.

Pattabhi Jois ha avuto un ruolo determinante nella divulgazione dell’ashtanga vinyasa e nel consolidamento del sistema di pratica degli asana suddiviso in serie in ordine crescente di difficoltà tecnica, ha inoltre formato personalmente la quasi totalità degli insegnanti più conosciuti a livello internazionale che a loro volta insegnano e divulgano questa splendida disciplina. Tuttavia tutto ciò che Pattabhi Jois , BNS Iyengar (da non confondere con BKS Iyengar che comunque potrebbe essere annoverato in questa stessa lista), Desikachar, Mohan e gli altri storici allievi di Tirumalai Krishnamacharya, hanno insegnato proveniva dagli studi e dai conseguenti insegnamenti del Maestro Krishnamacharya a cui forse va attribuito il merito di aver riportato alla luce un certo tipo di pratica dello hatha yoga e del raja yoga, gettando le basi dello yoga cosí come lo pratichiamo oggi nella maggior parte dei casi.

L’ashtanga vinyasa è un sistema di pratica dello hatha yoga (yoga tantrico che usa il corpo come strumento di liberazione dagli attaccamenti e dalle afflizioni, attraverso gli asana e i pranayama sottende alla purificazione del corpo per rendere il praticante libero dai pesi e pronto per i rigori della meditazione) che poggia il suo impianto filosofico sui principi cardine del raja yoga definito da Patanjali come ottuplice sentiero (ashtanga yoga).

La pratica prende il nome di ashtanga vinyasa proprio per come è sequenziata la “coreografia” delle sequenze di asana, un fluire da una posizione all’altra attraverso movimenti codificati che vengono accompagnati in ogni momento ad una determinata respirazione che da’ il ritmo a tutta la sequenza e la accompagna come un vero e proprio mantra. Il respiro è il cuore, il filo che unisce i semini della mala (ghirlanda) cioè gli asana di questo stile di pratica, che nella loro fase statica divengono una vera e propria meditazione sul sè, un incontro e uno studio dei propri limiti e potenzialità e l’occasione per praticare il non attaccamento uscendo dopo cinque respiri senza pensieri, rimpianti o strascichi di alcun genere.

Tirumalai Krishnamacharya è nato nel sud dell’India nel 1888 da una stimata famiglia di Brahmini dalla quale ricevette i primi importanti rudimenti sulla cultura vedica, il sanscrito, l’ayurveda, il vedanta e le pratiche yogiche. Gli venne attribuita una borsa di studio con la quale potè studiare il samkhya, il sistema di logica su cui poggia l’impianto filosofico dello yoga di Patanjali, a cui il celebre autore (o gli autori che prendono questo nome) dei sutra apportò alcune sostanziali modifiche ma dal quale prese a piene mani i maggiori cardini dello studio della natura umana. A ventidue anni venne a sapere di un grande Yogi  tibetano e decise di intraprendere un lungo e duro viaggio per recarsi da lui che viveva con la moglie e dieci figli in una caverna sull’Himalaya. Dapprima venne rifiutato poichè Ramamohan Bramachari sosteneva che solo chi aveva praticato yoga nella vita precedente potesse ricevere gli insegnamenti che lui custodiva e non riteneva che fosse il caso di Krishnamacharya cosí gli disse di andarsene. Tuttavia Krishnamacharya insistette e dopo alcune settimane giunse un messo che portò una pergamena a Ramamohan B. , la pergamena era scritta in sanscrito ma lo Yogin tibetano non conosceva questa scrittura, cosí Krishamacharya lo aiutò a decifrare quello che risultò essere un importante passo chiarificatore sui più importanti e celebrati testi dello yoga tantrico medievale. Il dado era tratto, Ramamohan B.ebbe la prova che gli serviva che Krishamacharya fosse effettivamente degno degli insegnamenti e cosí spese sette anni con la famiglia del Maestro che gli insegnò il controllo del corpo e della mente attraverso gli asana, i vinyasa e i pranayama.

Successivamente tornò a Varanasi dove iniziò a dare dimostrazioni di ciò che sapeva fare e questo destò la curiosità di molte persone tanto che la voce giunse fino a Mysore (dall’altra parte dell’India), il cui Maharaja lo invitò personalmente a dare una dimostrazione nel 1931. Il Maharaja in quel tempo era malato e chiese consiglio a Krisnamacharya, il quale grazie alle sue profonde conoscenze riuscí laddove gli altri medici e terapeuti avevano fallito. Il Maharaja allora lo invitò a fondare una scuola sotto il suo patrocinio. Il sovrano era motivato dal desiderio di rinforzare la gioventù locale che poteva essere la futura forza lavoro e militare a sua disposizione, ma era anche un uomo davvero straordinario, innovatore da ogni punto di vista, estese l’educazione scolastica alle donne, costruí l’acquedotto e portò la corrente elettrica a Mysore (negli anni 20/30 era una vera rarità in India) per Krishnamacharya, in un periodo dove lo yoga era un soggetto alieno anche in India (comunque ritenuta una disciplina per asceti, sadhu, monaci e scappati di casa) ricevere una proposta simile fu un onore incommensurabioe. Cosí aprí la prima shala di pratica di Yoga a Mysore.

Quando tornò in Karnataka , Krishanacharya era un uomo trasformato, la sua mente e il suo corpo erano stati forgiati dalla pratica come l’acciaio della miglior forgia e per qualche tempo faticò ad adattarsi al normale modo di compontarsi dei cittadini di Mysore, persone abituate a ben altri stili di vita e a uno di climi più miti che si possano trovare in tutta l’Asia.

Iniziò ad insegnare a persone di ogni età e condizione fisica, a coloro che avevano dei problemi proponeva esercizi volti a recuperare il vigore del corpo  dei fluidi e del respiro, ai giovani e forti insegnava gli asana ed i vinyasa per concatenare gli asana suddivisi in serie progressivamente sempre più impegnative, cioe’ suddivise in “primo anno” ,”secondo anno” etc.. Ogni programma conteneva non solo asana ma anche degli esercizi di pranayama e la conoscenza e studio di testi di filosofia yogica. Tra i suoi allievi annoverava il giovane Pattabhi Jois che aveva già conosciuto un anno prima a Kowshika, città natale di P. Jois il quale aveva visto una dimostrazione del Maestro e a soli dodici anni e di nascosto dal padre, che non avrebbe condiviso la sua scelta, andò a bussare alla porta di Krishnamacharya per chiedere di essere istruito. Ritrovato a Mysore dove si era recato con due rupie in tasca per studiare al collegio di sanscrito, mendicando per mantenersi negli studi, Pattabhi Jois riprese a studiare Yoga con  Krishnamacharya in quel periodo, quello in cui il Maestro insegnava la pratica dei vinyasa cosí come li aveva appresi oralmente da Ramamohan Bramachari e cosí come si diceva fossero stati tramandati dal saggio Vamana nel testo YogaKurunta, la cui unica copia disponibile era parzialmente distrutta e interamente danneggiata da topi e termiti quando Krishnamacharya la potè consultare nella biblioteca dell’università di Calcutta nel 1924. Il testo, scandiva il conteggio dei vinyasa degli asana successivamente suddivisi in serie e si addentrava nelle pratiche yogiche del controllo del respiro e della energia vitale.

Per 26 anni Pattabhi Jois insieme a BNS Iyengar e ad altri studenti che hanno intrapreso la loro strada o  per varie ragioni sono scomparsi dalla scena dello yoga ha studiato fianco a fianco col Maestro finchè questi si trasferí a Madras (attuale Chennai) dopo che a causa dell’indipendenza dell’India e della destituzione dei Maharaja la sua scuola nel Palazzo fu chiusa. A Chennai fu invitato ad aprire una scuola dove insegnò e curò pazienti anche gravi per il resto della sua lunga vita che finí nel 1989 all’età di 101 anni. A 97 anni si ruppe l’anca e rifiutò le cure mediche provvedendo personalmente alla propria guarigione attraverso la pratica di un sistema di asana appositamente studiato. Durante questi anni il suo sistema di pratica che aveva preso il nome di vinyasa krama subí notevoli adattamrnti e cambiamenti e i suoi programmi di pratica si adattarono molto alle esigenze delle persone con cui aveva a che fare, sempre più spesso di età avanzata e di condizioni di salute non buonissime. Nel frattempo a Mysore i suoi allievi, soprattutto Pattabhi Jois e BNS Iyengar continuavano ad insegnare l’asthanga vinyasa cosí come lo avevano appreso dal loro maestro o con delle piccole modifiche apportate secondo  le loro esperienze che iniziavano ad essere di un certo valore. Dal 1948 al 1964 Pattabhi Jois insegnò solo a studenti indiani poi successe un fatto che cambiò la storia degli eventi successivi nel mondo dello yoga (o almeno di una parte di esso) in occidente… Un trentenne belga di nome André Van Lysbeth si trovava in India con sua moglie, e dopo aver fatto un viaggio, trovandosi a Mysore, con pochi soldi in tasca, non sapendo bene cosa visitare e fare e non godendo proprio di ottima salute, chiese consiglio ad un conducente di tuktuk (piccoli mezzi di trasporto locali) il quale propose loro di andare a provare lo yoga e li portò da Pattabhi Jois. Van Lysbeth si trattenne due mesi durante i quali manifestò tali e tanti cambiamenti da tornare in Europa carico di un entusiasmo contagioso, e pubblicando le foto e l’indirizzo della shala di Pattabhi Jois, gli occidentali, europei ed americani iniziarono ad andare a trovarlo a Mysore, dapprima in pochi, poi in numero sempre crescente, motivati dalla straordinaria efficacia dei metodi insegnati da Pattabhi Jois, quelli che aveva imparato dal suo maestro Krishnamacharya. In seguito Pattabhi Jois fu invitato negli Stati Uniti, che egli visitò con il figlio Manju, il quale poi decise di trasferivisi, e da quel viaggio i visitatori e studenti americani iniziarono a diventare sempre più numerosi. Negli anni a venire lui, BNS Iyengar e i numerosi studenti occidentali da loro istruiti iniziarono a divulgare l’ashtanga vinyasa, dapprima in piccoli gruppi cosí come era stato insegnato a loro cioè con il “mysore style” insegnamento individuale in progressione quotidiana, poi con classi sempre più affollate e lezioni guidate. Fu anche questo il motivo dell’introduzione di regole, metodi e modalità (spesso abusate e fraintese) di limitazione dei rischi a possibile danno dei principianti che possono invece diventare, se fraintese, terreno fertile per atteggiamenti competitivi, arroganti e rigidi. I Maestri, Krishnamacharya con i suoi allievi, e Pattabhi Jois con la prima generazione dei suoi allievi, non hanno mai focalizzato troppa attenzione su particolari stilistici, ne’ fermato gli studenti nel loro apprendimento perchè non si afferravano il polso in marichiasana D o il tallone in kapotasana, sono sempre stati invece animati da uno spirito incoraggiante che sosteneva lo studente nella scoperta di sè, non nell’imitazione di qualche modello fotografico o video. Il mio augurio è che questa breve cronistoria delle origini del nostro stile di pratica di yoga possa aiutarci a mantenere o a trovare la freschezza dell’atteggiamento del principiante, la gioia di approfondire dell’appassionato, e l’attenzione sui principi fondamentali del percorso. Torniamo sempre al nostro mantra che è il respiro, fluido, comune, sonoro e rilassato.