Le epiche tradizionali indiane che passano sotto il nome di Purana e Itthiasa sono state concepite con una finalità simile a quella delle favole e racconti mitologici delle tradizioni greca e latina, cioè veicolare i concetti e modelli etici di riferimento, sia in forma emulativa per gli esempi virtuosi che in forma educativa per le punizioni karmiche che ricevono i personaggi che si comportano in modo antietico. Le due Itthiasa Ramayana e Mahabharata possono essere  considerati quindi come un tentativo di estrarre il nettare, l’essenza dei Veda e renderlo disponibile tramite l’utilizzo di esempi che ne mettono in evidenza il valore. La vittoria per esempio è un concetto che diventa strumento per veicolare una riflessione sul vero valore della vittoria, in dipendenza di quale tipo di vittoria venga raccontata nei diversi momenti della narrazione. La vittoria in campo di battaglia, in entrambe le epiche, rappresenta Vijaya, la vittoria di un contendente nello scontro tra due fazioni opposte, che vede un vincitore soddisfatto e orgoglioso e uno sconfitto affranto e colmo di rancore, uno squilibrio Karmico che necessita di compensazione negli eventi o vite successive, mentre Jaya la vittoria su se stessi, porta pace e soddisfazione in tutti, appiana i conflitti e permette di trovare la realtà che si cela dietro all’apparenza dello scontro, cioè che tutti gli attori in gioco sono uguali nella loro essenza profonda, sono tutti ugualmente irretiti in quello che considerano essere il “bene assoluto” e che invece è il bene proprio o della propria fazione e in questo processo di identificazione totale con l’atto di schierarsi trovano una prigione per l’anima, un vero e proprio inferno. Le vicende che riguardano il re Yudisthira alla fine del Mahabharata sono un perfetto esempio della differenza tra Jaya e Vijaya. Dopo aver sconfitto in una guerra atroce e sanguinosa i suoi cugini Kauravas che eventi,  circostanze e una serie di decisioni infelici avevano reso suoi nemici, Yudisthira aveva perso qualunque desiderio di regnare e voleva ritirarsi e fare la vita dell’eremita. Per intervento di Krishna, che già aveva avuto una parte determinante nell’esito della guerra di KuruKshetra, e che fece notare a Yudishtira che proprio in virtú di tutto ció che di buono e di cattivo aveva visto sentito e fatto in guerra avrebbe potuto essere un re saggio, con un giusto equilibrio tra disciplina e compassione, permettendo al Dharma di essere ristabilito in un mondo che sembrava essersene dimenticato, decise di compiere il suo destino e regnò, insieme ai suoi fratelli Pandava per 36 anni ristabilendo pace e prosperità nel regno di HastinaPuri. Quando fu il momento di ritirarsi e lasciare ogni bene e responsabilità al suo erede, decise di lasciare il mondo e la vita incamminandosi verso il monte sulla cui vetta si diceva essere presente la porta per entrare nello Svarga, la dimora dei Deva. In quel luogo si trovano le anime di coloro che, avendo acquisito meriti o espiato colpe durante la vita mortale, godono temporaneamente del paradiso dei Deva e della loro vista e quando esauriscono il tempo “guadagnato” con le vicende terrene, si reincarnano nella loro vita successiva, le anime di coloro i quali hanno accumulato colpe in vita, transitano temporaneamente da un luogo simile ad un inferno cristiano, luogo desolato e triste, che provoca sconforto e lamento in coloro che lo abitano, sempre comunque pro tempore fino all’incarnazione successiva (potremmo quindi dire che sia una via di mezzo tra inferno e purgatorio).  Durante il suo cammino sul monte Meru viene seguito dai suoi fratelli e dalla loro comune moglie Draupadi. Uno dopo l’altro, cominciando dalla moglie, i suoi cari cadono e muoiono ma lui, forte della sua decisione di rinunciare ad ogni legame terreno, non si gira ne ad aiutarli ne a guardarli. Quando è di fronte ai cancelli dello Swarga gli viene proposto di entrare lasciando fuori il cane che lo seguiva, lui insistette a chiedere di ammettere anche il cane che, pur non essendosene accorto fino a quel momento, lo aveva seguito perchè se si trovava di fronte a quel cancello era per suo proprio merito, avendo percorso con successo lo stesso sentiero nel quale tutti gli altri avevano perso la vita. Il cane poi si riveló essere un avatar di Dharma, e quando finalmente venne ammesso nello  Swarga, Yudhisthira dovette suo malgrado constatare che i suoi fratelli e Draupadi non erano presenti mentre trovó i suoi vecchi cugini nemici, i Kauravas. Indignato chiese una spiegazione del motivo per  il quale i suoi meritevoli fratelli e moglie non fossero in paradiso mentre vi si trovassero i manigoldi contro i quali avevano dovuto combattere per ristabilire il dharma  . I Deva con tranquillità gli spiegarono che i Kauravas avevano espiato le loro colpe morendo sul campo di battaglia di Kurukshetra, mentre i suoi fratelli e Draupadi, ognuno secondo le proprie inclinazioni, avevano accumulato, dopo la vittoria in guerra, e anche a causa di essa, delle colpe e  un senso di superioritá che avevano appesantito le loro anime portandole nel Naraka, o regno sotterraneo. Yudhisthira allora si infurió e pretese di poterli vedere, poi, vedendoli desideró condividere con loro la pena piuttosto che lasciarli da soli e andare nello swarga. Fu in quel momento che Vishnu gli apparve nuovamente e gli mostró la sua realtà interiore: pensava di aver lasciato ogni legame terreno e invece gli bastó vedere che i suoi cari non si trovavano nello swarga per crollare e infuriarsi, nutriva uno smodato senso di superiorità causato dall’irretimento in ció che lui considerava bene e buono, mentre in realtà era stato uno strumento del divino cosí come i suoi avversari, e aveva compiuto tante atrocità quante ne aveva viste compiere da loro, ma avendole fatte col favore di Krishna si sentiva nel giusto, e soprattutto, nonostante si fosse spogliato di ogni bene materiale restava in lui il piú grande dei pesi, quello della rabbia che lo faceva sentire migliore del suo prossimo, diverso, e al di sopra degli insondabili ingranaggi del Karma. Nella mente di  Yudhishitra allora si compí il miracolo, ed ebbe finalmente chiarezza della sua realtà interiore, realizzando che lui, i Pandava, i Kauravas, e tutti coloro che erano stati con lui e contro di lui in vita erano la stessa cosa, anime condotte nel ciclo delle rinascite e vincolate dalla legge del karma , che condividevano la stessa condizione, semplicemente con apparenze diverse. In lui crebbe il desiderio di vedere i Kauravas e sentì la leggerezza impadronirsi del suo cuore, cosí tutti loro poterono salire e ricongiungersi nello swarga. Questa è la differenza tra Jaya e Vijaya, la vittoria sull’altro dove ci sono vincitori e sconfitti, dove non c’é unione e dove alla soddisfazione di uno corrisponde la sofferenza dell’altro, o la vittoria su se stessi dalla quale ognuno può trarre un beneficio, dove c’é un posto per tutti nello Swarga.