Quando leggiamo o meditiamo sui sutra è utile provare a capire, con profonda e sincera lucidità, quanto e come le parole di Patanjali c’entrino con noi e la nostra interiorità nel quotidiano.

Occorre certamente premettere che per Patanjali noi non siamo solo il corpo e la mente, ovvero, in quello strato che noi normalmente chiamiamo “mente” Patanjali divide due “elementi” e questa divisione è centrale nella comprensione dell’opera e fondamentale nella sua applicazione. I due elementi sono il “Purusha” o “Drashti” (nel Veda è l’Atman) cioè la persona, il veggente, quella cosa che vede e sa solo vedere e testimoniare, e il Chitta cioè il prodotto dell’incontro tra questa “anima veggente” e la struttura naturale che le permette di percepire, in altre parole, la mente. La mente quindi è un prodotto e può essere vista e testimoniata dal purusha, il quale però nella maggior parte del tempo tende ad identificarsi con essa nell’involucro chiamato “Aham” cioè “Io sono” , in altre parole l’ego.

Il corpo ha delle sue qualità, che nella cultura che deriva dal veda sono in realtà una ricetta (unica per ogni creatura) di tre elementi, i tre guna: Tamas, la solidità la pesantezza, Rajas, il movimento, l’azione, Sattva, la leggerezza, l’idea, il progetto. Il corpo ha poi dei sensi, chiamati Indriya, i quali presentano la realtà all’osservatore tramite le loro capacità e attraverso il vetro deformante della mente. Nella mente c’è un motore che processa le informazioni e produce immagini e pensieri sotto forma di frasi che a loro volta scatenano delle emozioni che tornano ad essere percepite dai sensi e possono generare un circuito che si autoalimenta, ma quando l’osservatore smette di identificarsi con la mente e la osserva questo circuito lentamente si spegne e dissolve.

Il corpo ha dei bisogni: ha fame e sete, sente pulsioni riproduttive, necessita di essere riparato dei pericoli,  cose che necessitano di soddisfazione, ha bisogno di un riparo, cibo e acqua, contatto. Anche purusha ha dei bisogni, l’anima necessita di nutrimento, deve percepire se stessa e lo fa più facilmente entrando in relazione con l’altro, perchè in quel momento la sua luce inizia a brillare più forte e riesce più facilmente a riconoscersi.  Poi c’è la mente… la mente non ha dei bisogni, la mente formula dei desideri, non ci serve in realtà nulla di quello che la mente desidera ma se noi non la appaghiamo ci sentiamo dei frustrati, dei falliti, se poi invece realizziamo il desiderio, il desiderio svanisce senza lasciare della felicità e dell’appagamento, perché la mente, nel frattempo, ha già voltato il suo sguardo verso il prossimo desiderio, talvolta anche un attimo prima di aver realizzato quello precedente.

Chi si avvicina allo yoga o ad un percorso iniziatico/spirituale e perchè? Solitamente macroscopicamente tre tipi di persone, quelli che hanno bisogni fisici perché necessitano di ricostituire uno stato di salute e benessere di un corpo consumato o stressato, quelli che sono sessualmente frustrati o legati a problemi o dipendenze fisiche e si sentono infelici  nel corpo. Queste persone possono essere aiutate, hanno un problema vero e la loro volontà a superarlo è sincera, hanno anche la possibilità di misurare l’efficacia, nel tempo, delle soluzioni pratiche proposte e quando il bisogno del corpo sarà appagato affiorerà spontaneamente il bisogno profondo dell’anima. Ci sono coloro che sentono un anelito nell’anima, cercano la verità, anche loro possono essere aiutati attraverso un breve accompagnamento per i primi passi, poi dovranno proseguire seguendo un istinto che si affina sempre di più, e possono essere aiutati tanto nel perseverare a seguire un sentiero anche quando presenta degli ostacoli, quanto a non fossilizzarsi su una metodologia per puro attaccamento manieristico, poi l’insegnante dovrà ritirarsi e lasciar proseguire il cammino in modo indipendente. E poi c’è un altro gruppo (la maggioranza di coloro che si attaccano ad un insegnante!) cioè coloro che inseguono i desideri mentali. Queste persone , fintanto che rimangono in questa condizione, non possono essere aiutate, perchè tutto ciò che fanno, dall’attività fisica più semplice alla più sottile delle meditazioni, sarà asservita al potenziamento egoico che si nutre in continuazione e non è mai appagato. In questo strato si generano i mondi in miniatura, le trame politiche, i conflitti, le gerarchie, strutture che invece di lasciare che l’energia si sprigioni nella sua più potente e semplice forma, cioè l’amore, la   contaminano esprimendola poi in forme quali la predica “voi che pensate ai bisogni materiali, voi che mangiate carne, voi che fate questo e quello” in contrapposizione ad un “noi che siamo i buoni”, e questo sarebbe amore? Potrà mai portare pace nella propria mente e in quella degli altri (il mondo in fondo è fatto di tante creature viventi)? E sedersi su un tappetino  dopo aver acceso un incenso non crea necessariamente i presupposti per la pace interiore, si può essere nel posto giusto per la ragioni sbagliate.

Maitri karuna mudita upekshanam sukha duhka punya apunya visayanam bhavanatah prasadanam “la mente diviene quieta coltivando un atteggiamento di amicizia verso chi è felice, di compassione per i sofferenti, di gioia per i virtuosi e di indifferenza verso il male” (Sutra 33 Samadhi Pada).

Occorre essere vigili, e misurare con sincerità ed equanimità nel tempo i risultati della propria pratica, evitando di parteire dal presupposto scontato di essere nel giusto e vedendo la risposta del mondo attorno a noi.

Certo, cambiare talvolta è doloroso e non sempre le persone vicine ci appoggiano ne ci comprendono da subito, e talvolta abbiamo maglie così strette nei rapporti vincolanti che ci condizionano da tanto tempo da sentire il bisogno di uno strappo per poter iniziare un primo movimento, questo è innegabile, ed è proprio per questo che è necessario coltivare la consapevolezza, l’equanimità e l’amicizia, altrimenti rischiamo di diventare creature fredde, misogene, convinte di essere da sole nel giusto, mentre il giusto, il vero, ahisma, sathya sono sempre qualità che finiscono per unire le creature.