La pratica dell’ashtanga vinyasa può essere introdotta e seguita in due modi che pur avendo finalità affini e potendo essere sinergiche sono molto diverse tra di loro, la pratica guidata di gruppo e la pratica individuale o “Mysore style”.

Nella pratica guidata di gruppo l’insegnante ha il compito di illustrare gli asana e dare un ritmo che possa essere seguito in maniera più uniforme possibile da tutto il gruppo, magari dando delle facilitazioni ad personam per rendere fattibile tutto ciò che è contenut nella serie proposta ed evitare il rischio di infortuni per eccesso di zelo. Il ritmo e conseguentemente il tono di voce dovrà essere tale da sostenere il sistema neurovegetativo delle persone che praticano senza scadere nella corsa, cercando per quanto possibile di rappresentare un “respiro di gruppo” con i conteggi e le indicazioni che si danno.

Riguardo al conteggio occorre sviluppare un attegiamento equilibrato e machiavellico e chiarire un punto: l’insegnante non é un contabile e insegnare yoga non si riduce ad imparare a memoria il “corretto” conteggio dei vinyasa che invece va concepito come uno strumento di supporto per mantenere un ritmo quanto più possibilie simile alla respirazione e un supporto mnemonico per associare movimento ad atto respiratorio in modo logico e funzionale alla fluidità nella pratica.

Lo yoga è lo strumento con cui l’essere umano può sospendere l’identificazione con i propri pensieri ed emozioni e sollevarsi dai pesi e limiti dell’ego, limiti che generano anche sofferenza e attaccamento. Il conteggio dei viyasa quindi dovrebbe essere appreso con moderazionee seguendo questa ottica, proprio come qualunque altro elemento didattico nella pratica dello yoga. Posizionare il piede a tre gradi più a destra o a sinistra in janusirsasana C potrebbe essere una differenza percepita immediatamente dalla “pelle” di chi pratica che si aggiusta per stare più comodo ma rischia, qualora vi si attribuisca troppo peso ed importanza, di diventare un orpello in più per l’ego che si appesantisce sempre di più e paradossalmente si allontana dallo yoga e dal suo scopo che è la liberazione dai bisogni e dagli appesantimenti della personalità.

Quindi tornando al conteggio, se decidiamo di usare il conteggio dei vinyasa occorre sincerarci che tutti i presenti possano seguirlo senza problemi e in taluni csi può essere molto meglio usare un sistema di conduzione asciuto e privo di troppi dettagl che disturbano la concentrazione dei praticanti, più frequentemente quando questi conoscono già gli asana proposti e la loro sequenza in serie con i ivinyasa che li collegano. Altrimenti sarà importante dare indicazioni o mostrare gli asana anche sacrificando il tanto blasonato conteggio in sanscrito. Quindi ad un gruppo di principianti o comunque con alta densità di principianti sostituiremo il canonico ekham inspiro dve espiro con indicazioni tipo “inspiro alzando le braccia” o mostrando il gesto fisico diremo “inspiro in urdvha hastasana” o ancora “ekham inspiro alzando le braccia” etc..

Un po’ di creatività da questo punto di vista sicuramente non guasta e permette a tutti di avvicinarsi alla pratica dello yoga e vivere il percorso in modo piacevole seppur facendo fatica (quella fatica che si fa sempre quando ci si deve spostare da  un punto A verso un punto B per compiere un passo nella propria crescita personale).

Il ritmo della pratica e il tono della voce potrebbero avere necessità di cambiare anche all’interno della stessa lezione in quanto alcune parti necesitano di maggiore carica perché sono più faticose e avere un po’ di supporto da parte dell’insegnante che scandisce i vinyasa e conta leggermente più ad alta voce e velocemente può aiutare. Ad esempio la sequenza in piedi può avere sempre lo stesso ritmo fino a parshvottanasana ma magari in uttitha hasta e in tutto il vinyasa da utkatasana fino a paschimottanasana avrà bisogno di un piccolo colpo di acceleratore o comunque di alzare leggermente il tono, per poi stabilizzarsi nella sequenza seduta fino a marichyasana D, per poi avere un’altra increspatura in navasana e alzare il ritmo per gli arm balances successivi per poi tornare giuù nuovamente da baddha konasana in poi e dopo urdhva dhanurasana scendere verso un tono rilassante che concigli il viaggio verso l’interiorità della closing sequence.

Per quanto concerne savasana è assolutamente a discrezione dell’insegnante  può subire leggere variazioni di volta in volta se accompagnare il momento con un rilassamento guidato, con dei suoi, della musica, una visualizzazione o semplicemente  concedere il silenzio assoluto e la quiete di un momento di pura e semplice sacralità.

Il Mysore style offre la possibilità all’insegnante di ritagliare su misura come un vestito fatto dal sarto la pratica sullo studente/praticante, in termini di durata, intensità quantità e tipologia di asana seguendo un percorso che è impostato per essere progressivo e logicamente consequenziale come quello delle serie dell’ashtanga vinyasa. Una posizione prepara per quella seguente, in talunti casi alcune posizioni che si trovano addirittura in serie differenti possono però presentare interessanti sinergie che permettono alla posizione “successiva” di migliorare notevolmente l’approccio a quella precedente come ad esempio le posizioni della sottoserie dei saggi coi “piedi dietro la testa” della terza serie che porta il praticante a migliorare vertiginosamente la qualità e la piacevolezza di esecuzione di eka pada e dvi pada sirsasana che si trovano nnella seconda serie ma anche di supta kurmasana che si trova nella prima, mentre è facile e utile comprendere come nella sua sequenzialità la prima serie sia costruita per creare fondamenta solide, sciogliere tutto il corpo a partire dal centro dell’addome e dalle anche per radicare a terra il corpo, preparare il loto, aprire il torace e le spalle (con una gran quantità di vinyasa che contengono altrettanti urdhva muka svanasana, preparazione efficacissima agli inarcamenti che si trovano dopo, congiuntamente alle posizioni conclusive che “accendono” la capacità contrattile dei muscoli dorsali e paravertebrali sempre preparando il sadhaka agli inarcameti della seconda serie.

Pertanto è possibile contare su questa logica di vasi comunicanti per far progredire passo dopo passo in maniera sicura il praticante. Anche qui c’è un però… Le ultime generazioni di insegnanti di questa disciplina tendono ad essere guidate e a guidare in maniera eccessivamente rigida e pedissequa a seguide questa logica che diventa un comandamento ” non azzardarti a fare la posizione B se non hai conseguito perfettamente la A” .

Ora, non solo ne Pattabhi Jois ne tantomento il suo maestro Krishnamacharya hanno mai fermato uno studente prima di insegnargli navasana se non si afferravano le mani in marichyasana D, ma è la stessa logica e il cuore pulsante di cui è permeata la via dello yoga che ci suggerisce che questo modo di approcciare crea più inconvenienti che benefici, veleni quali la frustrazione, la competizione, l’invidia, l’ambizione e la spocchia sono delle conseguenze fin troppo evidenti per tralasciarne l’importanza, laddove invece questo metodo vorrebbe stimolare un approccio umile e di autoaccetazione. Inoltre va sottolineato come il mysore style per poter essere effettuato bene secondo la sua logica nativa e mostrare la sua efficacia dovrebbe poter contare su una pratica quasi quotidiana, sei giorni la settimana salvo le lune piene e nuova e condizioni di salute inadatte alla pratica, e questo é difficile che si verifichi alle nostre latitudini e quando anche si verifica è un tratto distintivo di persone che sono fortemente esposte al rischiio di esaltazione e conseguente rigidità caratteriale, connotazione che dovrebbe proprio non essere associabile ad un praticante esperto e tantomeno ad un insegnante di Yoga!

Chiaramente nessun caso è da prendere come regola, semplicemente bisogna avere moderazione, cercare di mantenere un atteggiamento semplice, mmotivato dall’entusiasmo e capace di accogliere le eccezioni, i momenti di necessità di riposo, di pausa, di cambiamento, e valutare i propri miglioramenti in termini di capacità di accogliere la vita e gli altri, di gentilezza di animo ed equanimità piuttosto che solo in abilità fisiche, destinate comunque ad essere posticce e sterili, se fini a se stesse.

TOrnando al Mysore style, può essere offerto come un corso in modalità “tradizionale” se il proprio tempo e spazio e volontà lo consente o integrato in un’offerta più ampia di pratica di yoga e ancora abbinato alle lezioni guidate, soluzione quest’ultima, adottata da chi scrive che può confermare come una modalità di pratica riversi i suoi benefici sull’altra e viceversa.