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Sulla pratica dell’ashtanga vinyasa cosí come è concepito e praticato nella maggior parte dei casi oggi ho già scritto qualcosa e tutto il resto si può già trovare nei libri dei più rinomati insegnanti come David Swenson, Kino MacGregor, Gregor Maehle, e ancora gli italiani Lino Miele e Giuliano Vecchiè con i loro due libri molto esaustivi ed approfonditi. Lo scopo di questo post è invece di fare da punto di partenza di un progetto che ho iniziato nella mia pratica personale e nelle lezioni guidate al Centrolistico, progetto che ha come oggetto la riscoperta e la sperimentazione dell’ashtanga yoga come era insegnato da Krishnamacharya ai suoi allievi, tra cui Pattabhi Jois e BNS Iyengar che hanno fondato le loro celebri scuole a Mysore.

In particolare mi interessa recuperare i benefici e particolarità del metodo utilizzato prima che Sri K Pattabhi Jois, iniziando ad insegnare in America negli anni 80 aumentasse notevolmente il numero di vinyasa e asana della prima serie con lo scopo preciso di aumentare la forza dei praticanti, notevolmente attratti da questa forza derivante dalla continua ripetizione dei jumptrhough e jumpbacks.

Premetto che la mia intenzione non è in alcun modo denigratoria di un metodo di pratica i cui benefici sono evidentemente sotto gli occhi di tutti, piuttosto l’estensione della metodologia a tutti quei praticanti che per ragioni varie, quali le condizioni fisiche, l’età di inizio pratica, il tempo a disposizione e le precedenti esperienze traumatiche, da una pratica come quella attuale traggono molte controindicazioni come dolori articolari, eccessivo affaticamento muscolare, senso di frustrazione e inadeguatezza e magari in ultima istanza dubbio sulla efficacia dello yoga in genere.

Sono scolpite nella mia mente a tale proposito le parole scritte da Desikachar sul suo libro “il cuore dello yoga” con cui descrive l’approccio di suo padre Krishnamacharya all’insegnamento dello yoga come qualcosa di assolutamente lungi dal protocollo universale ma come di una declinazione squisitamente individuale di un lavoro che può sembrare uguale per tutti in superficie ma che viene veicolato in modi sempre diversi per ogni persona, grazie alla profonda conoscenza di Krishnamacharya delle pratiche e teorie raccolte nei Shastra e alla sua capacità di usarle appropriatamente e nei momenti opportuni.

E cosí inizia un lavoro di ricerca, studio , approfondimento e sperimentazione che partono proprio dalla prima serie e dalle sue tante varianti che, a seconda del livello di capacità fisica e mentale del praticante veniva usata da Guruji Krishnamacharya con i suoi allievi.

Una prima forma, (vorrei soffermarmi su questa nel prossimo post) basata quasi esclusivamente su allungamenti della catena motoria posteriore e flessione frontale delle anche e sul consolidamento del respiro ujyai , poi l’introduzione di torsioni che preparino la zona lombare e gli arti inferiori a fare da sostegno per gli inarcamenti e preparino anche la mente al percorso che questi comportano, l’apertura del torce e la notevole ondata di energia che il corpo e la mente devono essere in grado di sopportare per non esserne travolti. Per poi proseguire con l’approfondimento dei vinyasa e, dopo aver sigillato la prima serie con asana che ad oggi compaiono al suo inizio, l’introduzione di nadi shodana, la seconda serie con il primo viaggio in compagnia dei rsi e dei simboli, mentre nella prima serie abbiamo incontrato solo Marichi, che come Virgilio fa con Dante ci accompagna e illumina il sentiero degli inferi di corpo e mente aiutando il nostro radicamento a terra e la capacità di inchinarci alla realtà riconoscendola per quello che è e per la sua bellezza e purezza. Prosegue do lo studio della seconda serie nasce come spontaneamente il bisogno di iniziare a sperimentare la capacità di questo circuito elettrico che si implementa e ripulisce con gli asana della serie,e inizia lo studio del pranayama e le scoperte bioenergetiche ad esso connesse (su questo tema approfondiremo molto non solo con la pratica ma anche con la conoscenza in modo da poter parlare alla nostra mente occidentale wifi oriented della saggezza antica orientale in modo comprensibile e apprezzabile. Lo scopo della riscoperta di Ashtanga Origins vuole essere quello di permettere al maggior numero di praticanti possibile di apprezzare le meraviglie della pratica complessiva dell’ashtanga yoga, della prima e della seconda serie complete e praticate come un’unica splendida e completa serie, e di aggiungere poi mattoncini di studio e scoperta degli asana delle serie avanzate che toccano piû da vicino i miti , simboli e leggende dei rsi ella tradizione vedica, ben lungi dall’essere solo degli spettacolari esercizi di ginnastica acrobatica sono anche e forse sopratutto simboli che permettono al nostro corpo di usare ogni arto e ogni parte con la massima consapevolezza quasi a formare dei mudra che distribuiscono l’energia aldilà di ostacoli e tortuosità diverse per ogni asana.

Vorrei, respiro dopo respiro, raggiungere davvero quella stabilità che possa essere mantenuta negli anni, nei decenni, come hanno fatto proprio Krishnamacharya, e BKS Iyengar che fino a poco prima di lasciare il loro corpo a venerande età hanno praticato senza mai interrompere e stancarsi, e come BNS Iyengar che tuttora pratica e insegna a Mysore nella sua (per sua volontà precisa ) poco conosciuta scuola.

E vorrei avvicinarmi quanto possibile a quella autenticità di pratica che rappresenta i dettami degli Yoga Shastra e Sutra, quanto piú possibile libera dai vincoli della modernità (almeno nella pratica) e quanto piú possibile vicina a ciò che è avvenuto in quella grotta nell’Himalaya dove per sette anni Krishnamacharya ha vissuto col suo Guru Ramamohan Bramacharya.

Mi piacerebbe molto, fra qualche anno, rileggere questo post e vedere che col passare del tempo si siano aggiunte molte conoscenze, esperienze condivise e mi capiti di sorridere per la genuinità, magari ancora un po’ sprovveduta che mi motiva in questo momento a compiere questi primi passi verso il ritorno alle origini.