Brahma non è in grado di percepire alcunchè quando emerge dal loto che sboccia dall’ombelico di Vishnu nel momento della Creazione, così genera quattro figli maschi impuberi che rappresentano la mente primaria nei suoi quattro aspetti: l’intelletto che discrimina e i tre contenitori di esperienze, bisogni e apprendimento prima che la mente sia esposta agli stimoli sensoriali. Il loro stato di immaturità sessuale suggerisce uno stato di inconsapevolezza del turbamento sensoriale. Sono in uno stato di Sat_Chitta- Ananda e non hanno alcun desiderio di frantumare questa condizione di purezza. Ciononostante poco dopo la nascita essi scompaiono.  Dopodichè genera i dieci Prajapati che rappresentano i cinque organi di senso (occhio, orecchie, naso, lingua e pelle) e i cinque organi di azione (viso, mani, gambe, ano e genitali). Sono canali che connettono la mente al mondo esterno. Ma la presenza di organi di senso ed azioni è priva di scopo senza una sorgente di stimoli e un destinatario delle risposte ad essi.

Nel Mito della creazione Hinduista tutti i personaggi sono maschili fino a questo punto. Poi arriva una bambina. Il suo nome , Ushas significa “Alba” perchè il suo arrivo determina l’alba della vita. La vita avviene solo quando la materia stimola la mente. Nel simbolismo Hindu, le forme maschili sono state convenzionalmente usate per descrivere la realtà interiore intangibile della vita mentre quelle femminili sono state usate per descrivere le forme della realtà della vita esterne e tangibili. Solo quando Brahma si rende conto del mondo esterno può iniziare il suo percorso per esplorare il mondo interiore. Lei , l’incarnazione della materia, è il ” non sè” senza il quale il sè di Brahma non può trovare definizione o essere distinto e percepito. Per quanto lei sia creata dal desiderio di Brahma di conoscere se stesso è poi la sua natura libera ed imprevedibile a determinare il desiderio che permette a Brahma di conoscere effettivamente se stesso e divenire Brahman (l’espansione della mente) o dissolversi nel desiderio e nelle innumerevoli forme che questo prende. Lei quindi è la personificazione del mondo di Brahma, il Brahmanda. Lei è l’osservazione , lui l’osservatore, lei è la sorgente dello stimolo, la destinataria delle sue risposte, la fonte meravigliosa delle esperienze, desideri e conoscenze, lei è la Dea.

Shiva è il divino dentro di noi, l’osservatore della vita. Shakti è il divino intorno a noi, l’osservazione della vita. Senza l’uno non può esserci l’altro. I veggenti Hindu hanno espresso questa mutua dipendenza attraverso il simbolo del Linga.

Shiva rivolge l suo sguardo e la sua attenzione all’interno di se stesso , è Shakti che lo agita, lo eccita, lo costringe, ritirandosi in una austera pratica  meditativa  a rivolgere verso di lei la sua preziosa attenzione aprendo così gli occhi (mentre le distrazioni vengono incenerite dall’apertura del suo terzo occhio). Così Shakti costringe Shiva a partecipare al ciclo della vita, e permette alla vita di accadere! Shakti vuole che Shiva sia Shankara (padre di famiglia), vuole che si accorga di lei e la conosca e facendo ciò conosca se stesso.

Shiva sa che Shakti è un fiume di trasformazioni senza fine e di stimoli che possono spazzare via la pace dalla sua mente. Inizialmente, per il piacere della tranquillità, Shiva la rifugge, ritirando tutti i sensi e l’attenzione verso l’interiorità come una tartaruga nel suo guscio. La autosufficienza che ne origina lo rende indifferente alla realtà esterna. La forma fisica non allettante (il corpo cosparso di cenere, cioè ciò che rimane dopo che un corpo è stato bruciato, si potrebbe anche definire la realtà ultima della materia), l’ambiente circostante inospitale (una montagna di roccia innevata).

Distante dai turbamenti del mondo, Shiva dapprima regredisce verso una beatitudine fatta di inerzia. Rifiutando di osservare e reagire al mondo esterno, Shiva toglie valore al bisogno per una realtà esterna. Facendo ciò minaccia la sua stessa esistenza in quanto non può esserci un osservatore senza un’atto di osservazione. Il suo Tapas lo trasforma in un fuoco le cui fiamme divorano ogni cosa, per questo va contenuto, per questo nelle rappresentazioni del Linga compare sempre un vaso d’acqua sopra di esso e una bacinella sotto. Questi sono i simboli della Dea che dirige l’attenzione di Shiva verso l’esterno, trasformando il fuoco distruttivo in un’energia creativa con la sua acqua, a beneficio di tutte le creature viventi. I devoti di Shakti la assistono in questo durante le cerimonie (Pooja) versando acqua sul linga affinchè raggiunga lo yoni alla sua base (la bacinella). Essi vogliono che Shiva diventi il benevolo Shankara, dispensatore di doni. L’eterna unione fisica di Shiva e Shakti rappresenta l’eterno conflitto tra il nostro mondo interiore e quello esteriore, il nostro desiderio di essere Shiva e ritirarci da esso oppure il nostro desiderio di essere Shankara ed abbracciarlo.

Per poter godere dei piaceri della vita, una persona deve sviluppare l’abilità di resistere e superare i dolori della vita. Ne gli Adityas ne i Daityas sanno come. Solo Shiva lo sa. Lui ha la facoltà di ingoiare Halahal (il veleno che emerge dall’oceno di latte quando dei e demoni lo mescolano per estrarre il nettare dell’immortalità Amrita)e solo Shakti sa bilanciare il suo rigore, lei stringe la sua gola affinchè il veleno vi rimanga e non scenda nello stomaco di Shiva, dove sarebbe distrutto dal fuoco del suo Tapas. E se il dolore viene distrutto allora il piacere smette di avere un significato. E senza l’esperienza di dolore e piacere , la vita cessa di avere un significato. Shiva può bere il veleno perchè è Yogeshwara, il signore dello Yoga. Lo yoga rende la mente libera e sufficientemente flessibile da poter fare esperienza della vita senza esserne sopraffatta. Lasciato a se stesso, Shiva distruggerebbe Halahal completamente e facendo ciò distruggerebbe l’esperienza della vita. La Dea non gli permette di farlo. La Dea è sia Kali che Gauri, l’oscura e la splendente. Lei incarna sia Halahal che Amrita. Una forma non ha senso senza l’altra. Distruggere una significa distruggere l’altra. Il proposito della vita è di fare esperienza e accettare entrambe le facce della Dea e scoprire il divino che rende tutto ciò possibile. Questa è la natura paradossale del divino all’esterno che ci agita ed eccita affinchè possiamo scoprire il divino al nostro interno.

C’è Shanti, shanti, shanti, pace con se stessi, col proprio mondo e con tutto ciò che ci circonda, quando il ritmo è perfetto, quando nessuno dei due aspetti domina l’altro. Il proponimento dello Yoga, di qualunque forma di Yoga, è di svincolare la consapevolezza e stabilire un rapporto armonioso con il mondo materiale in modo tale da esperire l’eterno principio dell’Essere:

Il Divino dentro di te è Dio, Il divino intorno a te è Dea, senza l’uno non vi può essere l’altra, nella loro scoperta giace la saggezza, nella loro unione armoniosa giace la beatitudine eterna.