L’essenza della conoscenza ci invita ad abbandonare anche la conoscenza stessa, ma ad un certo punto…

I veda sono il corpo della conoscenza e ritualità antica dei popoli ariani che colonizzarono l’india all’incirca nel 1800 a.c. , ma si ipotizza che siano stati composti 5000 anni fa e sono fondamentalmente una raccolta di formule, riti, invocazioni e canti che i brahmini usavano per celebrare lo Yagna, cerimonia religiosa atta a favorire l’intervento propizio dei Deva in aiuto degli esseri umani.

Tramandati segretamente in forma solo orale vennero poi trascritti in epoca medievale i 4 veda sono il Rig Veda (raccolta degli inni e invocazioni ai Deva) , il SamaVeda (raccolta di canti e mantra, le melodie dei riti vedici), lo YajurVeda (formule inerenti al sacrificio durante le cerimonie Yagna, composti in parte di versi e in parte di prosa), l’AtharvaVeda (raccolta di formule magiche e di medicina, usate dai Brahmini per scopi specifici anche al di fuori delle cerimonie). La  loro conoscenza era così preziosa e segreta che in una leggenda si narra che Brahma, dormendo a bocca aperta, lasciò fluire dalle sue labbra i veda durante il sonno e il  demone Hygreev solo udendoli e imparandoli a memoria divenne immortale e invincibile, causando un cataclisma destinato a distruggere il mondo (Vishnu poi intervenne in un modo che ricorda la leggenda dell’arca di Noè salvando gli esseri viventi ma questa è un’altra storia). Così per quanto fossero composti di versi e formule criptiche la loro mera conoscenza era vietata a coloro che non erano titolati ad averne l’accesso, costoro invece dovevano conoscerli e comprenderli, e a tale scopo i Veda venivano “illustrati” in dialoghi tra maestro e allievo che passano sotto il nome di “conoscenza segreta” o “Upanishad”. Le Upanishad quindi avevano l’arduo compito di spiegare i Veda rivelati dai Rsi, il loro scopo e utilizzo agli studenti Brahmini che avrebbero poi celebrato i riti giusti al momento giusto. Ma l’essenza profonda dei Veda e delle Upanishad rimanda sempre al fine ultimo della scoperta di Brahman, l’espansione della mente aldilà della trappola della ciclicità, dell’insorgere dei  bisogni e della loro soddisfazione e del riconoscimento che il Divino attua quando conosce se stesso attraverso la materia aldilà di essa. Questo procedimento può avvenire in ognuno di noi, la natura del divino è comune, è un’essenza vitale. Nello Svetasvatara Upanishad (Testo che tra l’altro introduce il precursore di Shiva o Rudra, per la prima volta nella mitologia vedica) si trova questa spiegazione sulla natura della vita e sul suo scopo:

L’essere infinito ha mille teste, occhi e piedi che circondano l’universo da ogni parte. Esiste oltre le dieci dita.(3.14) Tutto ciò che è stato, che è e che sarà, non è altro che questo Essere infinito. Pur manifestandosi nella forma dell’universo oggettivo, rimane pur sempre il Signore dell’immortalità. (3.15) Più sottile del sottile, più grande del grande, l’Atman è nascosto nel cuore di tutte le creature(3.20). Lo stesso Brahman che esiste da solo all’inizio della creazione e della dissoluzione dell’universo assume una varietà di forme e poteri. Protegge e controlla i mondi: è Rudra (Shiva), l’Uno senza secondi, che si trova nel cuore di tutti gli esseri.  Dopo aver manifestato e sostenuti tutti i mondi, alla fine li riassorbe in sè stesso (3.2)

Il divino si diverte (qualcuno disse che il creato è il gioco con cui Dio si diverte) a nascondersi nella materia per riconoscersi dentro di essa e aldilà della sua natura mortale. Ognuno di noi può trovare immediatamente il divino, perchè è già realizzato dentro ognuno di noi, non è qualcosa di lontano, di diverso, di altro da noi a cui tendere la mano, a cui rivolgere invocazioni e preghiere, a cui chiedere la grazia, è la nostra essenza più profonda, e in quanto tale si innalza al di sopra di qualunque umano attaccamento e bisogno, e si realizza, riconoscendosi nel silenzio  della meditazione, immediatamente, riducendo i bisogni e gli attaccamenti ad uno stato che è altro da sè, un mero veicolo, un trucco, un gioco!

Continua lo Svetasvatara Upanishad: A che servono i Veda per chi non conosce l’Essere supremo e indistruttibile, che è il fondamento dei Veda e dei Deva? Solo coloro che lo conoscono possono trovare la soddisfazione (4.8)

Il fuoco non viene percepito nella sua origine finchè non viene acceso per sfregamento, ma l’essenza sottile del fuoco esiste sempre nel legno, perchè si può manifestare in qualsiasi momento. Meditando, , L’Atman si percepisce chiaramente nel corpo, come se trovasse qualcosa che era nascosto (1.13-14).

La conoscenza, sia essa di riti, canti e formule o dei loro significati più fruibili dalla nostra mente razionale, diventa come la forza  o la flessibilità fisica che aumentano all’aumentare dell’impegno dei muscoli con la pratica, e nonostante serva come strumento per avvicinare l’Atman al suo auto riconoscimento, diventa poi un cibo molto gradito per la mente egoica, in modo non dissimile da come ci affezioniamo al sixpack che risulta da una costante pratica di jumpback e jumpthrough. Senza questa conoscenza così come senza la pratica , difficilmente avremmo il sospetto che si celi qualcosa sotto il velo di Maya, la nostra “realtà” . Questa apparente contraddizione rivela una ricetta fatta di moderazione nell’entusiasmo, di disciplina, dedizione e passione ma anche di consapevolezza che il risultato più visibile della pratica, così come dello studio non sono affatto il loro fine ultimo, e che questo accade , se accade, indipendentemente dalla nostra volontà, ma grazie ad essa perchè praticando e studiando l’Atman si affaccia da dietro le nostre pupille mentre ci guardiamo allo specchio, il punto sta poi nell’immergersi nella pupilla anzichè guardare la nostra immagine riflessa.