In questi ultimi due anni chi insegna Yoga in Italia è stato periodicamente richiamato all’ordine dalle istituzioni a causa di modifiche nelle norme vigenti in ambito professionale o sportivo dilettantistico. Non ultima la riforma del terzo settore che apparentemente doveva mettere le associazioni che operano nei due ambiti sportivo dilettantistico e di promozione sociale, nella condizione di dover decidere in quale dei due ambiti operare e “chiudere” con l’altro. Pertanto associazioni che ad esempio operano in strutture sportive facendo sia attivitá sportiva che attivitá di promozione sociale avrebbero dovuto, anzi dovranno, attualmente il termine è slittato a giugno 2020, decidere a quale delle due realtá aderire. Gli enti di promozione sportiva che fanno capo al CONI hanno raccolto fino al 2018 molte realtá operanti nel mondo dello yoga, e da sempre è in atto una discussione sul fatto che lo yoga sia o meno annoverabile tra le discipline sportive, viste le sue svariate forme e le sue molteplici finalitá, almeno nell’immaginario collettivo.
Ad oggi il CONI ha de facto emesso una normativa che prevede che tutte le associazioni e realtá sportive che vogliano aderire ad esso ed essere annessi al registro nazionale con doveri e privilegi annessi, debbano fare e produrre documentazione di aver svolto annualmente attività educative, formative e agonistiche. Quindi chiunque pratichi o insegni una disciplina che non prevede la competizione è gentilmente invitato ad andarsene, piaccia o no.
Naturalmente c’è chi si è organizzato immediatamente per poter aderire a queste norme creando concept di eventi agonistici con tanto di regolamento come si conviene, così anche chi fa yoga potrà avere le proprie gare e rimanere all’interno del mondo CONI, usufruendo dei privilegi che questa annessione prevede.
Questa scelta deve aver generato non poche critiche e lamentele perché chi ha avuto queste idee e ha stilato questi concept ha poi provveduto a supportare le proprie scelte con articoli che vanno a sondare in profonditá la natura dello yoga e dell’animo di chi lo pratica oggi come secoli fa, mostrando anche una certa conoscenza della molteplicitá di forme che popola questa disciplina così come della letteratura che scorre a latere di essa. Inoltre è stato evidenziato che, siccome in India vengono effettuati veri e propri campionati di yogasana, questa scelta non dovrebbe destare stupore e indignazione nei praticanti e insegnanti nostrani.
Poi siccome in politica c’è la tendenza ad utilizzare il motto “fatta la legge trovato l’inganno” non sono mancati, ne mancheranno gli escamotage atti a riuscire a rimanere o rientrare dalla porta di servizio di queste norme producendo della documentazione di eventi diciamo “dubbi”.
Io e Silvia ci siamo guardati negli occhi e in un nano secondo abbiamo deciso di uscire dal mondo sportivo con la nostra scuola continuando a mantenere vivo il rapporto con i nostri interlocutori di esso, che sono anche interlocutori con altre istituzioni statali di natura professionale e in ambito di promozione sociale, per il rapporto di fiducia e l’amicizia in essere da anni che ha creato una collaborazione soddisfacente per tutti. Gli studenti della scuola continueranno a vedere i propri corsi di formazione riconosciuti da entrambi gli stream, ma come scuola operante nei corsi quotidiani e come associazione di promozione sociale usciremo dal mondo CONI. Perchè?
Perchè per noi, indipendentemente dal fatto che questo possa o meno convenire a livello economico, fiscale e giuridico amministrativo, facciamo una proposta che è a tutti gli effetti ALTERNATIVA al concetto di competizione. Ci tengo a sottolineare la scelta del termine alternativa perché per me c’è un rapporto orizzontale tra le due sfere, quella competitiva e quella collaborativa, ognuno scelga quella che gli piace, non ritengo l’una superiore all’altra ma sono due percorsi diversi. Magari come spesso succede nei sentieri potranno incontrarsi sulla vetta del monte, non lo so e non sta a me dirlo, ma di una cosa sono sicuro, siamo sicuri, non ci interessa la competizione. E questo principio lo abbiamo vissuto da subito e lo viviamo ogni giorno con le nostre scelte, non solo nella shala e sul tappetino.
Ora veniamo a Patanjali…
Torniamo a citare i sutra del Samadhi Pada in cui Patanjali, parlando dello yoga, spiegando cosa sia e come operi nel difficile compito di prendere le redini della nostra psiche ed essere liberi dai suoi condizionamenti, ci dice che “la mente si quieta quando coltiviamo un atteggiamento di amicizia verso chi è felice, di compassione per i sofferenti, di gioia per i virtuosi e di indifferenza verso ciò che è male”…. ora meditiamoci sopra…
Pensiamo all’inclinazione naturale di una persona educata nella complessa societá moderna: ogni volta che si vede qualcuno felice si prova invidia, ogni volta che si vede qualcuno virtuoso si dubita della sua virtù, anzi dell’esistenza stessa della virtù… ci sará sotto qualcosa, da qualche parte deve esserci pure un difetto che mostri l’inconsistenza di quella virtù, come fa quella persona ad essere così virtuosa, mi sta ingannando, altrimenti vuol dire che è migliore di me e questo è impossibile! Mi costringerebbe a cambiare e cambiare fa male, è dolorosissimo…
E infatti il confronto produce nervosismo, agitazione, ansia da performance, disturbi nella respirazione e in altri processi fisiologici.
Patanjali ci dice che la mente diviene quieta quando nutriamo un sentimento di amicizia per chi è felice, ahahahaha cosa? Ma è difficilissimo, come si fa ad essere amici di una persona felice? Ti provoca invidia, ti senti un miserabile, vorremmo che non fosse così e talvolta, presi da un vento amorevole ci riusciamo ma mantenere quel punto è estremamente difficile, e perchè? Perché si tratta la felicitá come se fosse una merce, o un trofeo, o un posto in prima squadra. Si ha la sensazione che se qualcuno è felice quella felicitá sia stata sottratta a qualcuno altro, a noi magari! Se qualcuno è ricco e potente questo ragionamento ha senso perchè la ricchezza è effettivamente qualcosa di finito che si deve suddividere, il potere forse ancora di più ma la felicità no! È infinita, non è un bene che possa essere esaurito da chi ne attinge. Patanjali ci dice di nutrire un sentimento di felicitá per chi è felice, così apriremo la porta alla felicitá e inizieremo a vibrare con essa, vi ricordate cosa dice il Sutra su Ahisma (non violenza) non dice di essere vegani o di mettersi a sbraitare contro questo o quel governo, ci dice che se siamo in presenza di qualcuno che è veramente in pace iniziano a sentirci in pace anche noi.
La felicitá non è un fenomeno la cui misura e disponibilitá dipende dal suo essere condiviso ma dal nostro prenderne parte. E allora francamente mi dite con quale spirito dovrei aver voglia di introdurre la competizione in un ambito in cui nel tempo e superando le naturali difficoltà e resistenze iniziali, si riesce effettivamente a produrre questo sentimento ? Mi sembra di sentire giá la vocina del critico che dirá “ ma la competizione giá c’è, non vedi che sguardo ha quello là o quella là mentre pratica? Non vedi cosa postano questo o quella su instagram? “ e cosa sta agendo? Esattamente quel meccanismo psicologico che citavo poco fa, si vede la virtù, magari in nuce, magari acerba e ancora riccamente contaminata da altre manifestazioni, e la si critica per negarla, per dire “no ! Mi stanno ingannando, non è vero, siamo tutti delle persone becere” così non saremo costretti a metterci in marcia e faticare per cambiare le nostre forme mentali. Nutrire equanimitá e indifferenza per ciò che può fare male, Patanjali ci dice anche questo.
Ho tre figli e sebbene in modi diversi tutti e tre hanno fatto sport agonistici, ho potuto notare come l’agonismo sia una componente forte, troppo forte per essere controllata tanto dalla mente del bambino quanto da quella dell’adulto da cui quel bambino dovrebbe essere educato, è come mettere una persona che vuole fare la dieta nella migliore pasticceria e dirgli di stare calmo, potremmo fare esempi fino a superare Krishnamacharya in etá.
Ebbene si, vogliamo proprio continuare a proporre lo yoga come un sentiero alternativo alla competizione e instillare il desiderio di collaborare, di creare sinergie col prossimo, amicizia, condivisione, fino a sperare, magari illudendoci, o magari no, che un giorno almeno qualcuno dei nostri studenti possa smettere di vedere negli altri “gli altri” e possa aiutare il nostro meraviglioso pianeta, un gesto alla volta, a fare sempre più spazio all’amore.
Nel leggere queste righe illuminate del mio Maestro AirMax ho riflettuto sul percorso che sto facendo da quando sono diventato insegnante di yoga. Dai miei favolosi maestri Max e Silvia ( e anche in precedenza da Roberto, che ringrazio) ho assorbito la voglia di portare la nostra disciplina nel quotidiano.
Usare i rami dello yoga per rendere migliore la nostra vita e quella di coloro che ci stanno vicino e ci frequentano.
Resistere alla tentazione di isolarsi e osservare le cose dall’ alto con distacco dato dalla distanza.
Immergersi invece nella vita, respirarne le ansie, le sofferenze, le paure come le gioie e le gratificazioni, cercando, ogni giorno, equilibrio.
Equilibrio come un surfista che cavalca l’ onda.
La cavalca, ma si lascia anche da essa guidare e trasportare.
Sono stato un giocatore di basket, sono un Allenatore, Istruttore e Personal Trainer perciò nella mia vita l’ agonismo è sempre stato il pane, la strada per trovare la motivazione per me e per gli altri.
Ma lo yoga è tutta un’ altra cosa.
Lo yoga libera da quello che rende la competizione, a volte, pesante oltre ogni limite.
Avete mai provato a vincere una gara importante, magari davanti a tanta gente che gioisce con voi? Come ci sentiamo il giorno dopo? Gasati, come in paradiso, leggeri e carichi.
Al contrario perdere un match decisivo influendo negativamente sul risultato? Sarà come sentirsi rosi dentro, arrabbiati, distrutti.
Eppure il giorno dopo siamo sempre noi. Con il nostro Se immutabile. Gli stessi.
E questo mi aiuta a trovare la pratica yoga. A riconoscere la parte di me che mi caratterizza, capace di vivere in un mondo di continue traformazioni.
Che le federazioni e il coni, su indirizzi del governo, stiano provando a mettere le mani sullo yoga non mi stupisce. Ci sono in ballo corsi, aggiornamenti, diplomi, albi e tante tessere a pagamento. Ma non è su questi equilibri di potere che voglio soffermarmi.
Credo che Yoga e agonismo non possano convivere nella stessa disciplina perché lo yoga ci insegna il contrario come Max ci ha ben ricordato attraverso i passi degli yoga sutra di Patanjali.
Però lo Yoga può essere un supporto fantastico all’agonista che vuole vivere la competizione in un’altro modo. Assaporandone il gusto, succhiandone il midollo ( per dirla come nell’ Attimo fuggente) attimo per attimo. Oltre il risultato finale.
Il qui ed ora nello sport agonistico in una sequenza di partite o gare uniche ed irripetibili.
Vivendo l’agonismo in modo yogico e non lo yoga in modo agonistico l’atleta si libera dalle catene del risultato che condiziona il giudizio sulla prestazione. Agisce in perfetta sintonia con il suo corpo, anima e spirito nel gesto tecnico, fisico, emotivo. Dà il meglio di se.
Liberato da quel pesante fardello vive lo sport nel modo migliore possibile, trovando sinergie e godendo anche dei successi di momentanei rivali. Riconosce i meriti di chi lo ha superato e vive serenamente la gara e anche la sconfitta perche’ condivide la gioia del vincitore. Mette da parte l invidia e la frustrazione perché attraverso gli altri sente crescere la sua energia. Si prepara in un percorso comune.
Condivide,unisce e migliora.
Si immerge nella gara come nella vita sapendo di contare su un potente alleato che scorre dentro di lui ed accresce forza ad ogni gara, ad ogni pratica, illumina nel buio e protegge dai bagliori accecanti.
C’è tutto un mondo fantastico di sport e poi c e’ lo Yoga.
Angelo