Si narra che l’asura Taraka, volendo diventare immortale si dedicò ad un intenso e rigido tapasya in onore di Brahma. Questi impressionato dal rigore del suo devoto gli si presentò dinnanzi e gli chiese quale dono volesse i cambio di tanta dedizione. Cosí Taraka chiese di poter essere reso immortale. Brahma allora gli spiegò che neppure gli dei lo erano e che non era nelle sue facoltà poter esaudire questo desiderio. Pertanto Taraka modificò leggermente la sua richiesta chiedendo di essere reso quasi immortale, sarebbe potuto morire solo per mano di un guerriero che avesse solo sei giorni e che questo neonato fosse figlio di Shiva. Garantendosi la quasi invulnerabilità Taraka estese il suo regno di terrore e potere smisurato ai tre Loka. I deva preoccupati per il destino di tutte le creature, loro stessi compresi, escogitarono un piano per mettere Shiva nelle condizioni di concepire un figlio, cosa che sembrava impossibile vista la sua condizione di assoluta imperturbabilità e rinuncia alla partecipazione al mondo. Cosí i Deva decisero che la sua amata Sati sarebbe rinata come figlia di Himavat, il signore dell’Himalaya e avrebbe avuto nome Parvati. Dapprima Parvati si recò presso il luogo dove Shiva meditava e iniziò a servirlo senza ottenere alcuna reazione da parte del Dio raccolto in totale e profonda meditazione. Vista la mal parata i Deva decisero di chiedere a Kandarpa, il dio dell’amore e del desiderio e di trovare una soluzione per sedurre Shiva. Cosí facendo gli si parò dinnanzi con una schiera di bellissime ninfe le quali iniziarono a danzare con movimenti sinuosi e seducenti sulla musica prodotta dal canto delle fate e infine lanciò cinque fiori come fossero frecce (come i cinque sensi)col suo arco formato da una canna da zucchero e una corda fatta di api. I cinque sensi di Shiva furono colpiti dalle frecce e per risposta egli aprí il suo terzo occhio riducendo in cenere Kandarpa e le sue illusioni. Allora Parvati decise che il giusto modo per portare Shiva sulla strada del padre di famiglia non fosse quello di sedurlo coi sensi quanto quello di costringere la sua coscienza ad accorgersi di lei. Cosí iniziò un tapasya cosí austero da mettere Shiva nelle condizioni di esserne affascinato e colpito.
La mente di Shiva non conosce divisioni o principi standardizzati, percepisce in tutta la sua purezza ed essenza la realtà nella sua forma indivisibile. Per questo motivo aprendo il terzo occhio riduce Kandarpa in cenere. Ogni desiderio, ogni bisogno si basa sulla divisione di osservatore e osservato, tra soggetto e oggetto e anelito che nasce nel soggetto che vuole possedere l’oggetto, nella mente stessa si crea una confusione tra il soggetto (atman nei veda e purusha nei tantra) e oggetto (maya nei veda e prakriti nei tantra) quando la coscienza inizia ad identificarsi con la forma pensiero che è già un prodotto dell’incontro tra purusha e prakriti.
Non conoscendo differenza Shiva si ritira nella coscenza pura e la natura, con le sue qualità, non trova risposta nella sua mente. Questo stato è simboleggiato dalla chiusura degli occhi sensoriali (i due occhi che si trovano uno a destra e uno a sinistra evidenziando già nella loro posizione una differenza implicita) e l’apertura del terzo occhio che non è ne destro ne sinistro, ne alto ne basso e potendo riconoscere la realtà in tutta la sua essenza non rende la mente soggetta all’affabulazione illusoria della realtà materiale coi suoi incantesimi seduttivi (incenerisce Kandarpa).
il comportamento di Parvati e la sua ostinazione nel voler condurre Shiva a prendere parte nella vita sociale e desiderarla come moglie rappresenta la stessa rigorosa volontà dello hatha Yogin di condurre la mente a padroneggiare i sensi attraverso le dedizione alla pratica.